Predicozzo
Da qualche tempo, cari ragazzi di terza, la nostra convivenza scolastica e’ scandita da scontri periodici. Niente di drammatico, intendiamoci, niente che non rientri immediatamente grazie a un sorriso, una battuta o una pacca sulle spalle. E tuttavia questi piccoli screzi mi infastidiscono non poco perche’ nascono, a mio avviso, da un modo non corretto che alcuni di voi hanno di intendere il lavoro in classe. Ragioniamo.
In primo luogo c’e’ chi “fisicamente” non regge una spiegazione per piu’ di un quarto d’ora. Passato questo lasso di tempo, piuttosto esiguo per la verita’, anche a tener conto della curva dell’attenzione, comincia ad agitarsi, a distrarsi, a stuzzicare il compagno di banco e, nel migliore dei casi, mi fissa in silenzio, mentre spiego, con sguardo vuoto ed espressione assente. A inizio anno scolastico vi avevo invitato, per iscritto, a procurarvi quaderno per prendere appunti durante le spiegazioni. L’elementare dovere di appuntarvi i punti essenziali di una lezione viene da molti di voi semplicemente ignorato, mentre altri si limitano a scribacchiare qualcosa a margine dei libri di testo. Cosi’ non va, non va e infatti i risultati delle ultime interrogazioni risentono della mancanza di concentrazione e di metodo che sopra segnalo.
Quando la lezione si fa piu’ distesa e si toccano questioni di ordine generale che non riguardano direttamente gli argomenti in programma, oppure rispondo alle richieste di chiarimento o di approfondimento di qualcuno, molti interpretano queste situazioni come pure e semplici pause ricreative e si abbandonano ad atteggiamenti degni piuttosto di un asilo che di una classe liceale. Non parliamo poi di quello che accade durante le interrogazioni. (e qui dimostrate scarso rispetto anche per i vostri compagni sotto torchio). Come dire: “per comportarci in modo educato abbiamo bisogno solo e semplicemente del terrore; cara prof. si metta in mente che non ce ne frega assolutamente niente del vero motivo per cui siamo qui, che vogliamo semplicemente strappare una risicata sufficienza alla fine dell’anno, possibilmente impegnando la nostra mente il meno possibile”.
Sapete benissimo che mi piace scherzare e non amo che nelle mie classi ci sia un’atmosfera opprimente. Cio’ non toglie che vada ben distinto, da me come da voi, il momento, come dire, della “socializzazione” da quello in cui si lavora sui testi. Sono consapevole che avete sedici anni e non si puo’ pretendere che la vostra naturale esuberanza venga repressa piu’ di tanto. D’altra parte sarei capacissima di vestire i panni della prof arcigna, se e’ questo che alcuni di voi (non tutti, per fortuna) vogliono, ma per ora aspetto . E tuttavia sono obbligata a ricordarvi almeno le regole della buona educazione che vanno comunque rispettate e a invitarvi a trovare una motivazione vera per quello che state facendo a scuola.
Il punto e’ che siete abituati ad un modello di apprendimento che vi vuole passivi recipienti di contenuti e nozioni e che, finora, vi ha offerto poche occasioni di dicussione e partecipazione personale alla costruzione della vostra cultura. Se si esce dallo schema canonico spiegazione – interrogazione/compito – voto automaticamente pensate che la situazione sia poco seria e non meriti attenzione o impegno. Lasciate che vi dica che le cose non stanno proprio cosi’, che alla fine rientreranno nella mia valutazione complessiva anche la vostra partecipazione e la vostra motivazione. Senza contare che studiare a pappagallo quattro paginette del libro di testo non vi consentira’ di raggiungere la capacita’ di collegamento, di critica personale, di sintesi originale che io giudico essenziali per ottenere buoni risultati nelle mie materie.
Detto questo, ognuno di voi e’ libero di comportarsi come meglio crede. Se a qualcuno l’italiano e il latino proprio non vanno giu’, pazienza: basta che sappia prendersi, quando verra’ il momento, le proprie responsabilita’. E che comunque non faccia pesare il proprio disinteresse sulla qualita’ del lavoro che svolgiamo in classe.